Ultimo aggiornamento il 18 Gennaio 2021 alle 11:17
Le tre regole fondamentali per leggere i dati Covid-19. E che cos’è il CovIndex
Per comprendere l’andamento della pandemia i parametri da monitorare sono diversi e come sempre, quando si parla di dati Covid-19, bisogna saperli leggere e interpretare con molta cautela, per evitare il rischio di trarre conclusioni fuorvianti
Il numero dei contagi in Italia continua ad essere consistente e la curva a fine dicembre ha ripreso a salire, anche se in quest’ultima settimana se registra un leggero calo, probabilmente frutto delle chiusure natalizie. Discutere se si tratti di una “terza ondata”, o piuttosto del proseguimento della seconda, appare più un esercizio di stile giornalistico che poco interessa a chi si occupa ogni giorno di dati epidemiologici, come il gruppo di ricerca e divulgazione Coronavirus – Dati e Analisi Scientifiche che ho fondato a marzo 2020.
Per comprendere l’andamento della pandemia i parametri da monitorare sono diversi e come sempre, quando si parla di dati Covid-19, bisogna saperli leggere e interpretare con molta cautela, per evitare il rischio di trarne conclusioni fuorvianti. Vediamo allora tre regole fondamentali che questi mesi di analisi epidemiologica ci hanno insegnato.
Se c’è una cosa che appare chiara dall’inizio dell’epidemia è che i dati giornalieri seguono un pattern ormai ben definito di settimana in settimana, determinato dal numero dei tamponi effettuati (che dal 15 gennaio comprende anche i test antigenici oltre a quelli molecolari): ogni lunedì i nuovi casi positivi registrano sempre un minimo a causa dei pochi tamponi effettuati nel weekend, poi nei giorni successivi i casi aumentano con l’aumentare dei test, fino a raggiungere un picco massimo che ogni settimana si registra tra il venerdì e il sabato. Ha senso dunque stare ogni giorno a commentare i dati delle ultime 24 ore? Da un punto di vista statistico assolutamente no.
Il discorso cambia se invece si guarda alle medie (o ai dati cumulativi) settimanali. In questo modo è facile capire, ad esempio, che dalla settimana del 28 dicembre il numero dei contagi ha ripreso ad aumentare in Italia dopo ben 6 settimane consecutive di decrescita: +13% nell’ultima settimana di dicembre e +12% nella prima di gennaio 2021. Sempre guardando ai dati settimanali, notiamo che in quest’ultima settimana conclusa domenica 17 gennaio, si è registrato un nuovo calo rispetto alla precedente, con il 24% in meno di nuovi casi positivi.
Questo è quasi sicuramento l’effetto del “dpcm Natale” e dell’intero territorio nazionale divenuto “zona rossa” durante le festività. Ricordiamo infatti che i dati che noi registriamo oggi sono sempre la fotografia di contagi avvenuti circa 15-20 giorni fa: questo è il tempo che in media intercorre tra il momento dell’infezione, la manifestazione dei sintomi, l’effettuazione del tampone, la sua analisi e la trasmissione del risultato.
La gestione di una qualunque epidemia si basa sulla magica regola delle 3T: testare, ovvero eseguire tamponi e fare monitoraggio attivo; tracciare, ovvero essere in grado di ricostruire la catena dei possibili contagi a partire da un soggetto positivo (il contact tracing, appunto); trattare, ovvero curare i pazienti malati.
I dati sulla pandemia raccolti a livello internazionale nei mesi di marzo e aprile 2020 e riportati in un celebre articolo di Tomas Pueyo mostrano che i Paesi che hanno meglio contenuto la diffusione del virus sono stati quelli capaci di mantenere il rapporto tra casi positivi e persone testate al di sotto del 3%. Al di sopra di questa soglia accade che il sistema di contact tracing va in affanno, si cominciano a perdere casi positivi per strada e non identificati (magari perché asintomatici) ma liberi di circolare ed infettare a loro volta altre persone. È così che in poco tempo si innesca una dinamica di crescita esponenziale e fuori controllo dell’epidemia, che può essere contenuta solo con rigidissime misure di contenimento come il lockdown.
In Italia questo valore di soglia del 3% è stato oltrepassato il 25 settembre e da allora è salito vertiginosamente, attestandosi intorno al 30%. Si tratta di una percentuale enorme, che indica che il tracciamento è completamente saltato da tempo (come ammettono anche importanti epidemiologi e virologi) e che dunque il numero reale delle persone infette è molto più alto di quello conteggiato nei numeri ufficiali. E anche adesso che nel computo totale dei tamponi sono stati inseriti i test rapidi, il rapporto tra casi positivi e casi testati si aggira ancora intorno al 20%, davvero troppo per pensare al tracciamento.
Proprio questa sottostima dei casi positivi reali rispetto a quelli conteggiati è da tenere ben a mente quando si parla di letalità del virus, ovvero di quante persone uccide in rapporto a quelle infettate: se conoscessimo il reale numero di soggetti positivi, la letalità reale sarebbe notevolmente più bassa della letalità apparente.
Uno degli effetti della pandemia è stato quello di far entrare nel vocabolario comune termini del tutto sconosciuti fino a un anno fa. L’esempio più evidente è l’ormai famoso parametro Rt, il Reproduction Number, un importante parametro epidemiologico che indica quante persone in media una persona infetta è a sua volta in grado di contagiare. Se Rt è maggiore di 1, l’epidemia è in una fase di espansione; se minore 1, la curva sta decrescendo; se uguale a 1, la situazione è pressoché stabile, ovvero ogni giorno si registrano più o meno lo stesso numero di infezioni.
Ma il parametro Rt non è solo un artificio matematico bensì uno dei parametri più importanti da cui dipendono le scelte del Governo e del Comitato Tecnico Scientifico (CTS). Ad esempio per determinare, insieme ad altri indicatori, se una Regione debba essere gialla, arancione o rossa.
L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) calcola Rt in modo molto accurato a partire dalla data di inizio sintomi delle persone positive. In sostanza ad ogni positivo viene chiesto in quale giorno ha manifestato i primi sintomi e in questo modo viene costruita la curva dei sintomatici. Questo meccanismo (descritto nel paper di Cori at al., 2013), per quanto preciso e sofisticato, determina un enorme ritardo nel calcolo di Rt, che fotografa una situazione vecchia di ben tre settimane rispetto a quella odierna. E infatti, l’ultimo bollettino dell’ISS emanato l’8 gennaio 2021, stima un Rt medio pari a 1,03 ma calcolato nel periodo 15-28 dicembre. Considerato che il prossimo report è uscirà il 15 gennaio, è evidente che il valore di Rt è un po’ troppo datato per poter prendere decisioni rapide e tempestive.
Un’alternativa a Rt è il CovIndex, un algoritmo molto accurato che riproduce fedelmente l’andamento di Rt ma il cui calcolo si basa, invece che sulla curva dei sintomatici, proprio sul rapporto tra casi positivi e tamponi effettuati. Il vantaggio del CovIndex, sviluppato all’interno della piattaforma libera e gratuita CovidTrends, è quello di restituire una fotografia più aggiornata della situazione epidemiologica e di poter intraprendere nuove azioni e misure di contenimento con notevole anticipo rispetto ai bollettini dell’ISS e al parametro Rt.